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“L’ACCIAIO DI TARANTO SERVE PER IL PONTE SULLO STRETTO”

E' quanto sottolinea in una nota l'Associazione Indotto Acciaierie d'Italia - AIGI

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“L’Italia non può perdere lo stabilimento siderurgico di Taranto che il Governo ritiene strategico e alla cui ripresa produttiva sono legati i grandi progetti come il Ponte sullo Stretto”. E’ quanto sottolinea in una nota l’Associazione Indotto Acciaierie d’Italia – AIGI.

Le parole del Ministro Salvini alla cerimonia inaugurale della Fiera del Levante se pur rassicuranti sul piano della ritenuta strategicità della fabbrica tarantina per il Governo, non lo sono state altrettanto sul fronte dei programmi reali che riguardano il futuro della fabbrica, futuro che è legato a doppio filo alla mancata programmazione industriale insieme alle incertezze che ruotano sull’assetto societario.

Gli imprenditori dell’indotto, coloro i quali continuano a mantenere in vita la fabbrica di Taranto, pur vantando esosi crediti, chiedono che alle parole, agli intendimenti, seguano fatti concreti. A cominciare da una programmazione industriale seria che preveda l’aumento della produzione in chiave green fino ai limiti consentiti dalle attuali disposizioni e che garantisca occupazione e il ritorno alla normalità per le aziende dell’indotto.

Una ripresa che si attende dal 2018 che rilanci la competitività dello stabilimento sui mercati internazionali.

Ad oggi non si conosce né si vede attuato il piano industriale dell’attuale gestione.

Se l’acciaio prodotto a Taranto è ritenuto indispensabile per la realizzazione del Ponte sullo Stretto ed è considerato acciaio di alta qualità che viene richiesto da Fincantieri per la realizzazione dei propri progetti, non si comprende perché questa fase di stallo duri da così tanto tempo e perché il Governo insieme al socio privato, chiunque esso sia e chiunque esso sarà, si attardi a far partire investimenti e produzione.

Aigi ha già chiesto, anche per il tramite del Prefetto di Taranto, la convocazione di un tavolo tecnico dove poter approfondire e definire le sorti dello stabilimento, delle imprese, dei lavoratori e del futuro economico-sociale della città.

Se la fase di rilancio con investimenti mirati all’aumento della produzione di acciaio non avverrà in tempi strettissimi si dovrà purtroppo dare ragione a quanti dicono che la chiusura della fabbrica più grande d’Europa era stata decisa già da tempo e che quello a cui stiamo assistendo è un film dal finale tragico.

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