PRIMO MAGGIO DOMANI

Una storia come tante. La fatica di chi cerca un impiego: chi ha perso i propri diritti, quelli sanciti dalla Costituzione di una Repubblica, e combatte per riconquistarli. Preservando l'ottimismo e la pazienza

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Primo maggio: festa del lavoro e dei lavoratori, celebrata in molti Paesi, in molti modi: dalla musica al dibattito, dal corteo al silenzio. Per tanti giovani si tratta di un appuntamento rinviato. Quello con un impiego. Rinviato a tempo indeterminato, infinito. Il lavoro che non c’è; che quando c’è è precario, sottopagato, non rinnovabile; che non è dignitoso. Il lavoro che cambia adeguandosi ai tempi e alle tecnologie. In una democrazia che fa gli interessi di pochi. Dove la politica ha fallito, incapace di dare attenzione e risposta ai problemi dei cittadini; dove nessuno sembra avere un’idea di futuro. Nel Mezzogiorno in particolare servirebbero interventi e investimenti importanti – lo disse D’Alema qualche settimana fa, denunciando ogni forma di sfruttamento.

Raccogliamo lo sfogo di una persona in cerca di un’occupazione dopo averla perduta. Rosanna (nome di fantasia) preferisce mantenere l’anonimato: non vuole esporsi, per riservatezza, e perché sta intraprendendo una lunga battaglia di carte bollate. “Lavoravo in un’industria tessile – spiega al nostro giornale – adesso sono disoccupata da tre mesi: l’azienda era in crisi ed io ho perso il posto. In passato ho avuto varie esperienze lavorative: ho fatto la commessa, le pulizie in un albergo, ho lavorato sempre nelle industrie tessili a Martina Franca”. Rispetto a tanti disoccupati di lungo corso lei percepisce qualcosa. Una boccata d’ossigeno soltanto: “Al momento prendo la disoccupazione, avendo lavorato per cinque anni usufruisco dell’indennità Inps; ma da settembre vorrei iniziare a lavorare. Ricominciare anzi, perché ho sempre lavorato. Ho mandato tantissimi curriculum, fatto qualche colloquio però purtroppo quando ho capito con chi avevo a che fare, gente non seria, ho ritenuto di non perdere altro tempo”.

“Ora mi sono fermata perché passare intere giornate ad inviare cv stava diventando una vera e propria malattia – confida – ho deciso di prendermi un periodo di pausa, godendo quelle piccole cose quotidiane che in cinque anni mi erano precluse, in attesa di trovare un lavoro serio, a cui dare tutta me stessa. Vengo da un lungo periodo di stress, dovuto all’azienda che non mi ha dato quanto mi spettava, e sono stata costretta a rivolgermi ad un avvocato”. L’imperativo categorico è restare positivi: “A 36 anni non ho perso la speranza, ma certo l’età comincia ad essere un problema. Sono sempre stata ligia al mio dovere: anche se svolgevo una mansione dura, che non mi piaceva, non mi tiravo indietro neanche con la febbre. Avevo passione. Ma quando dai l’anima e non ti vengono riconosciuti i tuoi diritti, è inevitabile perdere motivazioni, entusiasmo”.

Martinese, diplomata in Informatica in una scuola della provincia dell’Aquila, dove ha vissuto per qualche anno, l’università non ha potuto terminarla. Non riuscendo a conciliarla con il lavoro. E se ne rammarica un poco. “Adesso devo capire quale percorso intraprendere, e dovrei ripartire da zero. Non ho una laurea, che tante volte non serve, in realtà, ma sono versatile e volenterosa: mi sono iscritta a molti siti che pubblicano annunci. Di interessante ogni tanto c’è qualche offerta: mi candido, ma non ho ricevuto alcun riscontro. Ed è molto difficile averlo, in considerazione dell’alto tasso di disoccupazione”. “La speranza però non viene mai meno”, chiosa la donna. Che con questa testimonianza può stimolare la voglia di denunciare sofferenze indecorose intollerabili indecenti. A lei e a tutti coloro che si trovano nella stessa situazione auguriamo buona fortuna. Buon lavoro.

(Paolo Arrivo)

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