EX ILVA, SINDACATI CONVOCATI DAL GOVERNO IL 27 SETTEMBRE

APPUNTAMENTO ALLE 13 A ROMA

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La vertenza ex Ilva approda a Palazzo Chigi. I sindacati sono stati convocati per il 27 settembre alle ore 13 per un confronto con una delegazione governativa sulla situazione di Acciaierie d’Italia. L’appuntamento fa seguito al grido d’allarme e alla mobilitazione avviata dalle sigle sindacali. Ieri la richiesta alla premier Giorgia Meloni e ai ministeri interessati di incontro urgente “perché la fabbrica sta vivendo una fase di abbandono e pericoloso declino” e rischia “una irreversibile condizione di spegnimento”; oggi l’annuncio di uno sciopero di 24 ore per il 28 settembre, con presidi davanti alle portinerie di ingresso. Una data non casuale. E’ atteso, infatti, per quella giornata l’evento ‘Steel Commitment 2023’, incontro commerciale con i clienti organizzato da Acciaierie d’Italia, compagine pubblico-privata composta da ArcelorMittal (che detiene il 62% delle quote) e Invitalia. L’iniziativa, che si terrà all’interno dello stabilimento di Taranto, viene criticata dalle organizzazioni sindacali (oltre ai metalmeccanici di Fim, Fiom e Uilm, sono coinvolte le categorie multiservizi, edili e trasporti), secondo le quali l’azienda presenta una “realtà distorta”. Anche Franco Bernabè, presidente di Acciaierie d’Italia e di Dri Italia, ha ammesso che “la situazione dell’ex Ilva è grave. Lo sa la premier Meloni, lo sanno i ministri Fitto e Urso. Senza investimenti non c’è futuro”. Il manager ha poi ricordato che “il governo ha varato un provvedimento importante il 10 agosto, garantendo la continuità produttiva, ma servono altri passi. Bisogna garantire la sopravvivenza: le acciaierie non possono acquistare le materie prime. L’urgenza è mettere subito a disposizione risorse”. Il segretario generale della Uilm Rocco Palombella ha espresso “forte rammarico e dissenso” rispetto alle dichiarazioni di Bernabè, aggiungendo che “i vari Governi hanno investito oltre un miliardo di euro di soldi pubblici, con assenza di risultati e una situazione produttiva, occupazionale e di sicurezza allarmante”. Per questo “non è accettabile – ha chiosato il sindacalista – che chi rappresenta lo Stato nel Cda e costituisce una garanzia per i lavoratori come Bernabè, non sia stato in grado di invertire la rotta in un’azienda con una gestione fallimentare”. Per Film, Fiom e Uilm, “nonostante i copiosi finanziamenti pubblici”, il sito di Taranto è ormai “privo dei requisiti minimi per garantire una vita dignitosa ai lavoratori sugli impianti produttivi” e “gli appalti continuano a vivere uno stato di perenne sofferenza dettato dal ritardo sui pagamenti e sul blocco degli ordini”. Si fa rilevare che, peraltro, la produzione è ai minimi storici, il piano ambientale non è stato completato, il miliardo di euro previsto dal Pnrr per la decarbonizzazione è stato dirottato al Fondo per lo Sviluppo e la Coesione (Fsc), si continua a fare largo ricorso della cassa integrazione straordinaria e va rispettato l’accordo del 6 settembre 2018 che prevede “la clausola di salvaguardia occupazionale con il reintegro dei lavoratori di Ilva in As”. La questione, ha ribadito il leader della Fiom Michele De Palma, “non può più essere affrontata su un solo tavolo ministeriale. Lo stabilimento rischia di cadere a pezzi, di spegnersi definitivamente, e con quello di Taranto anche gli altri”.

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