EX ILVA, LETTERA APERTA DI AIGI ALLA CITTA’

IL PRESIDENTE GRECO: "SONO LE ORE PIU' DRAMMATICHE DELLA NOSTRA STORIA"

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Di seguito la lettera aperta che Aigi sta inviando in queste ore agli stakeholder del territorio in merito alle ultime vicende legate allo stabilimento siderurgico e al rischio di amministrazione straordinaria.

In queste ore la città di Taranto, la nostra città,sta vivendo le ore più drammatiche della sua storia recente. A distanza di poco più di otto anni dalla dichiarazione di amministrazione straordinaria dell’allora Ilva, la stessa sciagurata formula si starebbe per replicare perché Governo e socio privato non riescono a trovare un accordo affinché lo stabilimento ionico, un tempo fiore all’occhiello della siderurgia nazionale ed internazionale, riprenda la produzione e continui a garantire economia e lavoro all’intero territorio.

Produzione che non debba compromettere la situazione ambientale della città e si adegui alle normative più recenti in tema di ecocompatibilità ambientale.

Abbiamo apprezzato le parole del nostro Arcivescovo mons. Ciro Miniero che purtroppo sono state equivocate.

È vero. Taranto è stata lasciata sola.

Siamo stati lasciati soli.

La chiusura della fabbrica sarebbe una catastrofe”-ha scritto il Pastore della Chiesa ionica.

Una catastrofe che la città non può permettersi e non sta probabilmente valutando appieno. E che, aspetto importantissimo, aggraverebbe di molto la situazione ambientale, poiché lascerebbe in eredità ai nostri figli e nipoti una situazione decine e decine di volte peggio di Bagnoli.

La messa in amministrazione straordinaria di ex Ilva, invece – che stiamo cercando con tutte le forze di scongiurare- si tradurrebbe in un nuovo “bidone” di 120milioni di euro a carico delle aziende dell’indotto, le quali danno lavoro a circa 4000 persone.

120 milioni di euro che mancherebbero all’economia cittadina compromettendo tutti i settori vitali del territorio. Un aspetto decisamente dirimente che la città tutta e l’intera classe politica rischiano di trascurare.

Decretare l’amministrazione straordinaria di ex-ILVA significherebbe infatti decretare la morte di tante imprese del tessuto industriale, che, rispetto ad otto anni fa, non riuscirebbero questa volta a sopravvivere anche a questo ennesimo bidone. Significherebbe cioè distruggere un distretto imprenditoriale che, oltre a dare lavoro a 4000 famiglie, investe e porta ricchezza aggiuntiva al territorio tutto, poiché queste imprese generano importanti quote di fatturato su economie non del territorio locale (nel resto d’Italia, in Europa, alcune anche nel resto del mondo). Significherebbe distruggere competenze, specializzazioni, know-how, prospettive di sviluppo.

Ma non solo. Significherebbe per lo stato un costo sociale ed economico ben più alto del ristoro degli attuali crediti insoluti dell’indotto. L’amministrazione straordinaria porterebbe infatti ad addossare a carico del bilancio dello Stato gli esorbitanti costi di cassa integrazione, nonché quelli, altrettanto rilevanti, conseguenti all’intervento del fondo di garanzia INPS per ripagare i crediti (retribuzioni e TFR) dei lavoratori delle aziende in default, infine quelli, e forse i più rilevanti di tutti, derivanti dalla perdita di gettito fiscale che conseguirebbe allo stato di crisi e di default delle aziende, le quali non sarebbero più in grado di versare le imposte (IVA in primis), soprattutto quelle arretrate dei piani di rateizzazione scaturite a seguito del primo bidone di otto anni fa e che le aziende stanno regolarmente versando, pur non avendo incassato i corrispettivi che hanno generato tali debiti (è questo è il paradosso).

Si tratterebbe nel complesso di somme per multipli superiori all’ammontare degli attuali crediti delle aziende dell’indotto. Tali somme lo Stato (alias tutti i cittadini italiani) potrà incassare unicamente evitando l’amministrazione straordinaria e garantendo la continuità aziendale dell’indotto.

Ecco perché ci rivolgiamo ai cittadini, alla Chiesa, alle associazioni di categoria, alle organizzazioni sindacali, agli ordini professionali, ai rappresentanti politici locali nei diversi consessi, ai movimenti, alle associazioni, a tutti gli stakeholder e a coloro i quali hanno a cuore le sorti della città.

Questa non può essere la battaglia isolata di una categoria che lotta per difendere I propri diritti. Deve essere al contrario la battaglia di tutti i settori produttivi e di tutte le parti vitali della città.

Taranto sta morendo.

Basta passeggiare in pieno centro cittadino per osservare la desolazione che regalano le numerose saracinesche abbassate anche nel salotto buono cittadino.

Taranto, un tempo uno dei capoluoghi del Sud Italia con una economia tra le più fiorenti del Mezzogiorno d’Italia, ora torna a risplendere solo durante le vacanze di Natale e Pasqua quando si riempie grazie all’ arrivo dei “nostri” fuorisede che regalano le immagini di una città che non c’è più.

Un decremento demografico in continua ascesa che relega il capoluogo provinciale di ben 29 comuni a città per soli anziani.

Una fotografia impressionante del declino che ha subìto negli ultimi decenni la città che fu la capitale della Magna Grecia e che ora rischia la desertificazione.

Con questo ennesimo e accorato appello ci sforziamo di tentare di unire la città attraverso le sue diverse espressioni per una battaglia comune che riguarda la tenuta del territorio con l’obiettivo di vedere istituito il tavolo tecnico permanente di crisi per Taranto.

Taranto, 13 gennaio 2024

Il Presidente

Ing. Fabio Greco

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