ARCELORMITTAL: “SENZA SCUDO PENALE IMPOSSIBILE RESTARE”

La memoria difensiva presentata dall'azienda al tribunale civile di Milano

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ArcelorMittal, con i suoi avvocati, insiste nel rivendicare il recesso dal contratto di fitto dell’Ilva, avviato da novembre 2018, accusa l’amministrazione straordinaria, imputandole di aver taciuto il vero stato della fabbrica, ma soprattutto insiste sul fatto che senza “protezione legale” non solo il piano ambientale può essere eseguito, ma neppure l’attività industriale svolta. E quindi, afferma la multinazionale dell’acciaio, dicendosi disposta a riconsegnare il tutto, c’è una sostanziale indisponibilità ad adempiere al contratto stipulato.

Tutto è contenuto nella nuova memoria di difesa presentata al Tribunale di Milano in vista dell’udienza del 7 febbraio. La Ilva in amministrazione straordinaria e Procura di Milano hanno già presentato le proprie. Questi atti sono un passaggio tecnico e procedurale per l’udienza. Non va tuttavia trascurato che ArcelorMittal e Ilva, affiancati da avvocati e consulenti, e sotto la stretta visione del Governo, stanno negoziando da giorni per arrivare ad una nuova intesa alle soglie del 7 febbraio e “dribblare” così il giudizio a Milano che riguarda sia l’atto di citazione, con recesso, di ArcelorMittal verso i commissari, sia il ricorso cautelare urgente di questi ultimi verso la multinazionale per impedirne l’abbandono.

Allarme già lanciato sette mesi fa
L’abrogazione dello scudo penale, che l’estate scorsa è stato – attraverso due decreti legge – prima limitato temporalmente e ridisegnato nel perimetro applicativo, poi rivisto e infine soppresso, è uno dei motivi chiave del nuovo atto giudiziario della multinazionale. Affermare, scrivono gli avvocati nella memoria di 67 pagine, che Am Investco (società veicolo di ArcelorMittal) non si sia “nel passato mai veramente preoccupata” della “permanenza” della protezione legale, è assurdo e contrario a buona fede”. Senza contare le frequenti interlocuzioni con i commissari straordinari e gli esponenti del Governo, oltre sette mesi prima di inviare la lettera del recesso, Am ha pubblicamente comunicato che l’eventuale eliminazione della protezione legale avrebbe avuto un “impatto dirompente sul contratto”, impedendole “di proseguire l’attività produttiva presso lo stabilimento di Taranto”, nonchè legittimandola a esperire alcuni rimedi contrattuali e legali, incluso l’esercizio del diritto di recesso”.

“Dopo innumerevoli giri di valzer – scrivono i legali nella memoria a proposito di Ilva in amministrazione straordinaria – le ricorrenti… non escogitano nulla di meglio che aggrapparsi alla solita ciambella sgonfia della “inutilità” dello scudo penale quale “doppione” dell’esimente ex art. 51 c.p.”. “Chiariamo per l’ennesima volta – rilevano gli avvocati – che la protezione legale”, il famoso scudo abolito da un nuovo decreto legge lo scorso anno in fase di conversione, “non aveva, nè poteva avere, ad oggetto soltanto l’attività intrinsecamente attuativa del solo Piano ambientale ma anche e soprattutto l’attività produttiva che doveva e dovrebbe svolgersi contestualmente”.

E infine, dicono ancora i legali,”come si fa seriamente a sostenere che la protezione legale sarebbe inutile o irrilevante per l’attività produttiva se anche nei giorni scorsi la Procura della Repubblica di Taranto “ha chiesto di non procedere per tre fascicoli di indagine aperti negli anni scorsi (per disastro ambientale, inquinamento dell’acqua e dell’aria)” proprio perché “era in vigore” tale protezione all’epoca dei fatti”. E “tali procedimenti avevano ad oggetto ipotesi di reato intimamente connesse alle obbligazioni contrattuali di Am”.

Contratto alterato se si parla di attività “lecita”
Gli avvocati di ArcelorMittal così attaccano: “Non occorre essere giuristi di chiara fama (quali sono gli autori dei pareri prodotti da Am, ai quali la ricorrente non è riuscita a contrapporre una sola riga) per capire che la protezione legale – attenendo all’attività produttiva in se e non soltanto all’attività esecutiva del piano ambientale – non aveva, e non ha, bisogno alcuno di essere esplicitamente menzionata nella clausola del recesso”.

Per i legali, “il passaggio da “protetta” a “meramente lecita” dell’attività produttiva – ed era “protetta” anche nel corso della procedura di gara! E poi al momento dell’aggiudicazione! E infine al momento della stipula di entrambi i contratti! – è tale da alterare profondamente (ben più profondamente di una modifica del Piano ambientale!) l’assetto del contratto”. “Costituisce – scrivono ancora gli avvocati nella memoria – una banale mistificazione (stavolta il termine è pertinente) sostenere che nulla è successo perché, in se considerato, il piano ambientale è rimasto immutato”. Per i legali, “più che una mistificazione, poi, è una vera e propria assurdità affermare che “il c.d. scudo penale è del tutto neutro ed estraneo alla gestione industriale dello stabilimento di Taranto”.

“Pronti ad un’agevole restituzione”
ArcelorMittal ribadisce inoltre l’intenzione a togliere le tende da Taranto. “Am, andando ben oltre i propri obblighi contrattuali, sarebbe disposta a concordare le modalità per garantire la più agevole restituzione dei rami di azienda e venire incontro alle esigenze di Ilva (mentre quest’ultima si è limitata ad opporre il proprio pervicace rifiuto a riprendere la gestione)”. Inoltre, si sottolinea, “quand’anche il temporaneo spegnimento degli impianti avesse qualche ripercussione, non sussiste alcun elemento idoneo a dimostrare un “pericolo imminente e irreparabile” per lo stabilimento che giustifichi l’intervento cautelare ex art. 700 c.p.c” (quello presentato da Ilva).

Si osserva infine che “i lamentati rallentamenti della capacità produttiva sono dipesi da fattori indipendenti dalla volontà di Am, fra cui le vicende relative ad Afo2 e il generale andamento del ciclico mercato dell’acciaio e le difficoltà di approvvigionamento delle materie prime conseguenti al sequestro del molo 4”.

LA MEMORIA (1)

FONTE: Il Sole 24 ore (Domenico Palmiotti).

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