SOSPESA LA DIRETTRICE DEL CARCERE DI TARANTO, STEFANIA BALDASSARI

Secondo la DDA di Lecce avrebbe favorito un detenuto indagato per il reato di 416 bis

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Il Capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Bernardo Petralia, ha sospeso dalle funzioni di Direttrice della Casa Circondariale di Taranto, Stefania Baldassarri. Il provvedimento è stato adottato – a quanto si apprende da fonti dell’amministrazione – sulla scorta di un’ informativa della DDA di Lecce, secondo la quale la Direttrice sarebbe coinvolta in condotte irregolari nell’interesse di un detenuto, presente nello stesso istituto penitenziario, indagato per il reato di 416 bis, l’associazione a delinquere di tipo mafioso(ANSA).

Sarebbe Michele Cicala, esponente di spicco della criminalità di Taranto e a capo dell’omonimo clan, il detenuto, presente nel carcere di Taranto, nei confronti del quale il Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia, contesta condotte irregolari alla direttrice dell’istituto di pena, Stefania Baldassarri. Per tale ragione, la Baldassarri è stata sospesa dall’incarico di direttrice del carcere di Taranto con un provvedimento del capo del Dap, Bernardo Petralia. Lo apprende l’AGI da fonti qualificate. Cicala, lo scorso 12 aprile, è stato arrestato dalla Guardia di Finanza nell’ambito di una maxi operazione che ha coinvolto le mafie del Salernitano, del Leccese e del Tarantino, riguardante i reati di associazione a delinquere di stampo mafioso, associazione a delinquere finalizzata alla commissione di frodi in materia di accise e Iva negli oli minerali, intestazione fittizia di beni e società, riciclaggio e autoriciclaggio, nonché impiego di denaro di provenienza illecita. Nell’operazione, che impegnò anche i carabinieri e le Dda di Lecce e Potenza, ci furono 26 indagati in carcere, 11 agli arresti domiciliari e altri 6 destinatari di un divieto di dimora. Nella vicenda specifica il clan Cicala era alleato a quello dei Diana-Casalesi in Campania. In particolare, Michele Cicala, già condannato con sentenza definitiva per estorsione aggravata dal metodo mafioso e per associazione a delinquere, aveva creato una nuova compagine mafiosa con legami con le componenti del clan tarantino Catapano-Leone. Questo gruppo reimpiegava risorse economiche in molte attività anche commerciali, attraverso una fitta rete di prestanome, ed era aggressivo dal punto di vista militare. Cicala – emerse dall’indagine sui carburanti – aveva puntato particolarmente sul settore della distribuzione degli idrocarburi, definito dagli inquirenti estremamente lucroso, accordandosi con il gruppo criminale Diana, attivo nel Vallo di Diano tra Basilicata e Campania, e sviluppando cosí l’attività di contrabbando. Secondo la ricostruzione fatta allora dagli inquirenti, venivano vendute ingenti quantità di carburante per uso agricolo, che beneficia di agevolazioni fiscali, a persone che poi lo mettevano nel mercato normale dell’autotrazione utilizzando le “pompe bianche” che, secondo l’ipotesi investigativa, facevano capo a distributori “compiacenti”.A giugno scorso, però, Cicala, su istanza dei propri legali, Salvatore Maggio e Armando Veneto, ha ottenuto – per la questione del traffico di carburanti – i domiciliari dal gip di Lecce, Michele Toriello. Cicala è tuttavia rimasto in carcere per un’altra ordinanza. Rispetto alla quale lo scorso aprile il Tribunale del Riesame ha annullato l’aggravante di associazione mafiosa formulata dal sostituto procuratore della Dda di Lecce, Stefano Milto De Nozza. Il Riesame ha però confermato arresti (coinvolti altri esponenti del clan Cicala) e sequestri (bar, ristoranti, attività commerciali riconducibili sempre a Cicala).  Nella conferenza stampa dello scorso 12 aprile, quella per gli arresti del traffico di carburanti, così la Guardia di Finanza descrisse Michele Cicala: “Cicala, già condannato per l’operazione “Mediterraneo”, in carcere ha studiato, si è migliorato, ha capito che la strada della violenza non era la più produttiva. Ha così intessuto relazioni con personaggi leciti e illeciti, nel tentativo di darsi una immagine da imprenditore”. “Da tutte le attività imprenditoriali, Cicala – disse ancora la GdF in quell’occasione – ha previsto che una parte profitti andassero alle famiglie i cui esponenti sono in carcere. Ha persino create cooperative per aiutare giovani disagiati, che servivano a entrare nelle gare per gli appalti pubblici”. La Guardia di Finanza disse inoltre che “ Cicala  non disdegnava l’uso delle armi nel caso in cui vi fossero interferenze con le sue attività. I proventi del traffico carburanti sono stati riciclati nell’acquisizione di bar e ristoranti”. (AGI)

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