TARANTINA CAVALIERE DELLA REPUBBLICA

DENUNCIO' LE CONDIZIONI INVIVIBILI DI UN CALL CENTER

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La sua denuncia coraggiosa ha fatto chiudere un call center a Taranto dove il personale, ammassato in due stanzette, veniva pagato 33 centesimi l’ora. C’è anche Michela Piccione, 35 anni, di Sava (Taranto), tra i 36 premiati oggi dal capo dello Stato, Sergio Mattarella, per la solidarietà, l’inclusione sociale, il volontariato e la legalità. Sposata con un artigiano, Luca Scorrano, e con due figli, un bambino di 13 anni e mezzo ed una bambina di 4 anni e mezzo, Michela Piccione racconta all’AGI: “Mi sono emozionata perché non ci credevo. Mi cercavano dalla mattina al numero di mio marito, ma lui non pensava che fosse qualcosa più importante. Poi dalla segreteria della presidenza della Repubblica mi hanno raccontato quello che doveva accadere oggi. Mi hanno chiamato verso le 18, spiegandomi che il presidente ha voluto darmi un riconoscimento come donna impegnata per affermare la legalità”.

Ora Michela ha lasciato i call center, lavora come ausiliaria nel reparto Covid nell’ospedale Giannuzzi di Manduria (Taranto) dopo aver vinto un concorso, “ma nel mondo dei call center ci sono stata complessivamente per otto anni. Ne ho cambiati tre”. Quello che ha fatto chiudere, con la denuncia al sindacato Slc Cgil – sindacato che ha denunciato molti casi di sfruttamento nel settore -, era in via Bari 38 a Taranto. “Ero lì dal 2017 – racconta Michela Piccione ad AGI -.Era un mini appartamento, con due stanze molte piccole e 35 addetti. Ci alternavamo tra primo e secondo turno. Nella stanza più piccola eravamo in 11. La paga oraria doveva essere 6,51 euro lordi, invece prendevamo 33 centesimi l’ora. Percepivamo 92 euro per un mese totale di lavoro eseguito tutti i giorni per 6 ore al giorno. Quando abbiamo portato la busta paga al sindacato, stentavano a crederci”. “Non potevamo parlare con il titolare del call center, avevamo contatti solo con la responsabile e so che scattavano riduzioni di paga se la mattina arrivavamo al lavoro anche con un minuto di ritardo e che la pausa di 15 minuti ci veniva decurtata. Anche i minuti che andavamo in bagno, ci venivano tolti” rievoca Michela. “Dopo aver fatto la denuncia, il call center è stato chiuso nell’immediatezza. Il pomeriggio non aprì più” afferma ancora Michela Piccione. E tuttavia dopo la brutta esperienza, la donna é rimasta nei call center. “È vero che il mondo dei call center è un pò subdolo, la retribuzione è ridicola, vieni pagata ad ora, se non fai contratti, vai a casa, vivi la giornata per guadagnare la busta paga a fine mese, vieni stressata. Però – aggiunge – io lavoro da quando avevo 19 anni. Sono sempre stata abituata a lavorare, ad essere indipendente economicamente proprio per fare qualcosa in più per la famiglia, anche se mio marito lavora. Ho fatto anche la promoter per Bauli e quindi ho utilizzato la mia attitudine alla vendita”. “Dopo la chiusura del call center di via Bari, sono rimasta nei call center perché non c’erano alternative – afferma ancora Michela -. Però il cambio mi ha portato ad entrare in una società di call center a Taranto più grande, organizzata, meglio gestita. Sono arrivata anche a percepire 1100-1200 euro al mese. Un picco, però, perché in agosto o quando non lavori, la paga si abbassa”. E alla domanda se adesso non ha paura a lavorare in un reparto Covid, Michela risponde ad AGI: “No, sto facendo una bella esperienza. Ti affezioni ai pazienti, che non hanno nessuno che li va a trovare, non possono ricevere una visita, una carezza, e quindi vedendo gli infermieri, gli operatori socio sanitari tutti i minuti, non stanno mai soli. No, lavorare in un reparto Covid non è una cosa che mi spaventa”. “Il vaccino? Ho già dato l’adesione il 20 dicembre, aspetterò il mio turno di vaccinazione” conclude Michela Piccione. (AGI)

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