IL MITO POSSENTE DI CIRCE RIVIVE IN GIULIA GALLO

La recensione dello spettacolo "19/Circe"

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di Giuseppe Mazzarino

Io sono Circe, la dea, la maga, la femmina e donna, la figlia del Sole, l’immortale. La Signora delle erbe, la Signora delle belve che si ammansiscono ai miei piedi. L’essenza primordiale che scatena la profonda ferinità del maschio e lo fa retrocedere ad uno stato animalesco; la modernissima donna liberata dai vincoli; l’amante appassionata dell’amore, l’amore bruciante, assoluto, che non trova requie, l’amore per il non mai veduto; la sacra prostituta che si giace coi naufraghi approdati alla sua isola prima di trasformarli in porci, cani, leoni, in base alla prevalente indole della loro anima non razionale; la traditrice dell’ospitalità, che soccorre e sfama i naufraghi offrendo loro cibo drogato che li imbestia; la sapiente miscelatrice del phàrmakon, che in Greco designa tanto il rimedio quanto il veleno; la malinconica, solitaria regina di un’isola selvaggia, che abdicò al ruolo di regina di una Città assassinando il marito e venendo relegata sull’aspra isola di Eea…
Circe, un mito, un archetipo che ha attraversato i millenni, simbolo nelle varie epoche del caos che distrugge la civiltà e l’ordine sociale, della mangiatrice d’uomini, della lussuria animalesca, della Grande Avversaria che seduce il fragile Uomo e lo fa inclinare al male, della donna libera che liberamente esprime la propria personalità, della Natura indifferente ai concetti umani di Bene e Male, della castigatrice degli istinti perversi, della femmina trionfante e della donna nostalgica, paradigma del Male per la Chiesa delle origini, paradigma protofemministra fra Otto e Novecento…
Circe, il cui racconto ci parla ancora, attraverso i millenni, il cui mito ha la forza primeva degli archetipi, e sta nel nostro Dna.
Circe, arcaica e contemporanea, fuori della Storia, ha ispirato la prima prova drammaturgica della nostra concittadina Giulia Gallo, performer di moda, attrice non digiuna di esperienze registiche.
“19/Circe”, il suo monologo, movimentato da proiezione di filmati e dalla rapida apparizione in scena di un deuteragonista (Giorgio Consoli, un presumibile ma sfumato e non precisamente identificato Odisseo), è una reinterpretazione psicologica e fisica del mito della maga. Autentica mattatrice, la bella Giulia (perché la bellezza è un valore, e i Greci ce lo hanno insegnato) rinasce nelle vesti della grande seduttrice, la solitaria seduttrice, la nostalgica seduttrice; la parola, il corpo, il gesto si fondono per dar vita all’ambigua dea/donna. Immortale. E sola.
Palazzo Pantaleo (a parte il disturbo della musica a spettacolo ancora in corso), stracolmo ai limiti della fisica dei solidi, era palesemente troppo piccolo per la messinscena di questo autentico gioiello (abiti di Gianmarco Funari, foto di scena di Cludia D’Alò, collaborazione al video di Enrico Acciani).
La cui fruizione, beninteso, non può essere limitata a Taranto. Ma che, intanto, merita una grande rappresentazione all’aperto, secondo il costume dei Greci, finché il tempo regge (per esempio la piazza d’armi del Castello aragonese); e con l’autunno almeno il teatro comunale, il rinnovato Fusco.
A Giulia Gallo, intanto, alle soglie della laurea magistrale (dopo la maturità classica all’Archita e la laurea in Discipline dello spettacolo alla Sapienza di Roma), un grande in bocca al lupo per l’intrapresa strada della drammaturgia. Non sarà un’avventura.

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