ALBINI, LA BEFFA DI BURBERRY

I SINDACATI COMMENTANO LA RICHIESTA DI PRODUZIONE DEL GRANDE MARCHIO. MENTRE MOTTOLA CHIUDE

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“La notizia di Burberry che ha chiesto 40mila metri di produzione in Italia ad Albini, ci rallegra e ci dà speranza, segnale evidente che i grandi marchi credono nel made in Italy. La notizia però rende ancora più amaro il boccone della chiusura della Tessitura di Mottola, che ha già prodotto in passato per questo brand, proprio nel momento in cui i segnali vanno esattamente nel verso contrario”.

Così commentano la notizia i segretari generali di Filctem Cgil Taranto, Femca Cisl Taranto – Brindisi e Uiltec Uil.

“Mentre i brand internazionali guardano alla vera produzione italiana come un valore aggiunto, le aziende produttrici chiudono gli stabilimenti, lasciando per strada maestranze formate, svendendo i macchinari e mantenendo, come nel caso di Albini, gli stabilimenti in Egitto e in Repubblica Ceca. Come organizzazioni sindacali ci chiediamo come sia possibile per il gruppo Albini vivere in questa situazione schizofrenica, dove da un lato decide di chiudere uno stabilimento in Italia, dall’altro deve garantire il made in Italy. Forse può farlo perché non tutto viene davvero prodotto in Italia?”.
“Che Burberry abbia scelto la produzione italiana è un buon segnale, da cogliere al volo, nella speranza che possa offrire un barlume di speranza ai lavoratori di Mottola, che ancora attendono notizie circa la cassa integrazione da parte dell’azienda, consapevoli di quanto valga per i brand la produzione davvero italiana” concludono Giordano Fumarola, segretario generale Filctem Cgil Taranto,
Emiliano Giannoccaro, Femca Cisl Taranto-Brindisi, Amedeo Guerriero, Uiltec Taranto.

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